Leone XIV e la “nuova Rerum Novarum”: dal leone della tradizione alla sfida sociale del XXI secolo

di Reverendo SenzaDio su L'ora di religione il 9 Maggio 2025

Nel tardo pomeriggio dell’8 maggio 2025, mentre un vento tiepido agitava le bandiere sulla piazza, il comignolo della Sistina ha lasciato uscire un pennacchio di fumo bianco. Dopo appena due scrutini, un conclave compatto aveva eletto il cardinale statunitense Robert Francis Prevost come 267° vescovo di Roma. Il neo-pontefice, che a Chicago aveva imparato a condividere la fede con operai e immigrati e che in Perù aveva guidato una diocesi povera di risorse ma ricca di iniziativa, si è affacciato alla Loggia con un nome inatteso: Leo XIV / Leone XIV. È il primo papa nato negli Stati Uniti, un missionario formatosi fra le periferie di Lima, ed è il quinto “Leone” dell’epoca contemporanea. (New York Post)

Il ruggito di un nome

Nulla in un conclave è casuale, men che meno la scelta di un nome. “Leo” – da leo, leone – è la promessa di un papato coraggioso. Ma l’evocazione non è soltanto zoologica: è storica, teologica e politica al tempo stesso. Il primo Leone, quello che la storiografia definirà “Magno”, convinse Attila a fermare l’avanzata unno alle porte di Roma; Leone III, nell’800, incoronò Carlo Magno dando forma all’Europa carolingia; Leone X, raffinato umanista e Medici, vide esplodere la Riforma luterana; infine Leone XIII, l’autore della Rerum Novarum (1891), gettò le fondamenta della dottrina sociale cattolica in piena rivoluzione industriale. Quando Prevost si è presentato come Leo XIV, è apparso evidente il riferimento a quest’ultimo predecessore: un pontefice che seppe parlare di salari, fabbriche e condizione operaia in un’epoca in cui la Chiesa rischiava di apparire distante dal conflitto tra capitale e lavoro. (The Washington Post, Vatican News)

Un dettaglio che molti osservatori hanno colto con stupore riguarda la combinazione — senza precedenti — fra l’identità agostiniana del nuovo pontefice e il nome che egli ha scelto. Robert Francis Prevost è infatti il primo papa proveniente dall’Ordine di sant’Agostino (O.S.A.), la stessa famiglia spirituale alla quale appartenne Martin Lutero prima di diventare la scintilla della Riforma; dopo il noviziato a Saint Louis nel 1977, Prevost ha emesso i voti solenni nel 1981 e, da priore generale, ha guidato per anni la vita internazionale dell’Ordine Vatican Press. Eppure ha assunto il nome Leone, che rimanda subito a Leone X (Giovanni de’ Medici), il papa che nel 1520 tentò di fermare il confratello Lutero con la bolla Exsurge Domine e che il 3 gennaio 1521, con la Decet Romanum Pontificem, lo scomunicò formalmente, aprendo la frattura della cristianità occidentale HISTORY CHANNEL ITALIAWikipedia.

La scelta non può essere ingenua. In termini simbolici, Leo XIV porta sulle spalle l’intera parabola di un conflitto: da un lato la memoria di un papa rinascimentale associato alle arti, al mecenatismo e alla condanna di Lutero; dall’altro la propria radice agostiniana, condivisa con il riformatore tedesco. Riunire queste due linee in un solo gesto nominale ha il sapore di una riconciliazione postuma: l’ordine che diede i natali al dissenso si ritrova, cinque secoli dopo, al timone della Chiesa universale, riprendendo il nome di colui che quel dissenso aveva voluto sopprimere. In filigrana, il messaggio di Leo XIV sembra rivolgersi tanto ai fratelli separati del mondo protestante quanto alla stessa curia romana: la storia non si cancella, ma può essere riletta in chiave di dialogo.

C’è anche un risvolto di realpolitik ecclesiale. Poiché il nuovo papa ha dedicato la sua vita pastorale a mediare tra culture — gli Stati Uniti industriali, il Perù contadino, la curia globale — il richiamo a Leone X suggerisce la volontà di misurarsi con fratture teologiche non ancora sanate: dai cinquecenteschi contrasti dottrinali alle odierne tensioni sull’autorità del magistero e sulla sinodalità. In questo senso, la scelta di un nome “ingombrante” diventa una dichiarazione d’intenti: affrontare le eredità più spinose della modernità religiosa non fuggendole, ma mettendole al centro della propria identità.

Se cinque secoli fa un agostiniano tedesco e un papa rinascimentale diedero inizio alla più drammatica divisione dell’Occidente cristiano, oggi un agostiniano americano che porta il loro stesso nome potrebbe aprire un nuovo capitolo nella storia, dimostrando che perfino i simboli più divisivi possono trasformarsi in strumenti di convergenza quando vengono assunti con lucidità critica e coraggio pastorale.

Dalla Chicago operaia al Perù andino

Prevost ha 69 anni, è nato nel Sud di Chicago e vanta un doppio sguardo: quello del Nord industrializzato, dove ha respirato la precarietà delle periferie, e quello del Sud globale, dove – da missionario agostiniano – ha sperimentato le tensioni fra sfruttamento delle risorse e tutela delle comunità indigene. Come prefetto del Dicastero per i Vescovi, ha maturato un’idea di Chiesa sinodale: meno burocrazia curiale e più ascolto del territorio. Questa biografia lo colloca, quasi naturalmente, sulla scia di Leone XIII: un papa per il quale la questione sociale non era un capitolo a margine, ma il cuore dell’evangelizzazione moderna. (ABC7 Chicago, Vatican Press)

Che cosa fu Rerum Novarum

Quando Leone XIII firmò la Rerum Novarum il 15 maggio 1891, lo fece con la consapevolezza che la “questione operaia” stava esplodendo in tutta Europa. L’elettrificazione delle fabbriche, il turn-over di manodopera a giornata, l’esodo dei contadini verso le periferie industriali stavano generando un doppio estremismo: da un lato il laissez-faire liberale pronto a sacrificare il lavoratore a logiche di mercato puro; dall’altro il socialismo rivoluzionario che predicava la soppressione della proprietà privata. La Chiesa, uscita ammaccata dal confronto con i nazionalismi e con l’anticlericalismo ottocentesco, rischiava di apparire muta. Leo XIII ruppe il silenzio (Vaticano, Wikipedia).

Era un testo breve, ma destinato a segnare un secolo di interventi magisteriali sui temi del lavoro: Quadragesimo Anno di Pio XI, Laborem Exercens di Giovanni Paolo II, Laudato Si’ di Francesco nascono da quel seme. (Wikipedia, Vaticano)

Pubblicata da Leo XIII il 15 maggio 1891, la Rerum Novarum (“Delle cose nuove”) fu la prima enciclica a intervenire organicamente sulle condizioni dei lavoratori nell’era dell’industrializzazione. I suoi punti-chiave 

  1. Dignità del lavoro: salario “giusto” sufficiente a mantenere la famiglia.

  2. Diritto di associazione: legittimità dei sindacati indipendenti.

  3. Critica doppia: condanna del laissez-faire capitalistico e del socialismo rivoluzionario.

  4. Funzione dello Stato: arbitro che tutela il bene comune senza sopprimere la sussidiarietà.

 

Un testo breve, quattro idee-chiave

  1. Centralità della persona che lavora – Il papa condannò «orari massacranti» e salari di sussistenza che riducono l’operaio a “merce”. Il lavoro, scrisse, non è una merce ma una vocazione che permette alla persona di partecipare all’opera creatrice di Dio.

  2. Diritto di proprietà con doveri sociali – La proprietà privata viene difesa contro il collettivismo, ma non in modo assoluto: il proprietario è custode di un bene destinato anche al bene comune.

  3. Libertà d’associazione – Per la prima volta un pontefice riconosce la legittimità dei sindacati (allora spesso messi al bando) come strumento di contrattazione pacifica.

  4. Ruolo attivo dello Stato – Né “mano invisibile” né statalismo: tocca alle istituzioni garantire un ordine giusto, soprattutto quando il potere economico agisce «senza freni» (CAPP-USA).

Come un sasso nello stagno

Quell’enciclica di appena 64 articoli divenne la carta fondativa di una rete globale di leghe operaie cattoliche, cooperative di credito, circoli di studio e, nel XX secolo, di partiti d’ispirazione cristiana. Ma soprattutto avviò una catena di riletture magisteriali:

  • Pio XI, Quadragesimo Anno (1931) – A quarant’anni di distanza, precisa il principio di sussidiarietà: lo Stato intervenga solo quando i corpi intermedi non bastano, e denuncia «l’imperialismo internazionale del denaro» (Vaticano, Wikipedia).

  • Giovanni XXIII, Mater et Magistra (1961) – Sposta l’asse dal conflitto di classe al piano internazionale, invocando giustizia tra Nord e Sud del mondo.

  • Paolo VI, Populorum Progressio (1967) – Collega la povertà globale ai meccanismi del commercio e del debito, definendo lo sviluppo come «nuovo nome della pace».

  • Giovanni Paolo II, Laborem Exercens (1981) – Rilegge la dignità del lavoro alla luce dell’automazione, affermando che l’uomo è “soggetto”, non oggetto, del processo produttivo (Vaticano, California Catholic Conference).

  • Benedetto XVI, Caritas in Veritate (2009) – Inserisce finanza, bioetica e globalizzazione nella trama della giustizia sociale.

  • Francesco, Laudato Si’ (2015) e Laudate Deum (2023) – Completa l’arco, fondendo ecologia integrale e questione del lavoro: lo sfruttamento della terra e quello delle persone sono due facce della stessa crisi (Mercy World, Vaticano).

Connessioni con il presente

Il filo rosso che parte dal 1891 arriva diretto agli interrogativi odierni di Leo XIV:

  • Gig-economy – Invece di ore di fabbrica abbiamo algoritmi che “spacchettano” il lavoro in micro-prestazioni: la Rerum Novarum parlava di salario giusto; oggi la domanda è se un rider possa negoziare il proprio compenso o conoscere i criteri di assegnazione delle consegne.

  • Proprietà dei dati – Come la proprietà terriera dell’Ottocento, il possesso dei dati personali genera rendite senza responsabilità sociale; il principio leoniano della destinazione universale dei beni torna rilevante.

  • Statualità in crisi – Allora il pericolo era la “mano invisibile”; oggi sono le piattaforme transnazionali che eludono norme fiscali. Il richiamo a uno Stato garante del bene comune è più urgente che mai.

  • Ecologia – Nel 1891 il degrado industriale era visibile nelle città nere di carbone; ora la sfida è climatica: Laudato Si’ aggiorna il criterio leoniano di giustizia alla scala planetaria.

Guardata retrospettivamente, la Rerum Novarum fu meno un punto d’arrivo che un acceleratore di mutazioni. Generò riflessi politici (la nascita del movimento cristiano-sociale), culturali (la Democrazia cristiana europea) e persino economici (il modello tedesco di codeterminazione datore-lavoratore). Se Leo XIV vuole “ruggire” sulle disuguaglianze digitali, possiede già, in quell’enciclica ottocentesca, un vocabolario di princìpi: dignità, solidarietà, sussidiarietà e bene comune. Cambiano le “cose nuove”, non il cuore del problema: assicurare che l’economia resti al servizio della persona, e non il contrario.

Le “cose nuovissime” di oggi

Se il XIX secolo era scosso dalle ciminiere, il XXI è turbato dagli algoritmi. Leo XIV eredita un mondo in cui la gig-economy frammenta il rapporto fra datore e dipendente, le piattaforme digitali accumulano potere parastatale, l’intelligenza artificiale promette efficienza ma minaccia interi settori occupazionali. Al tempo stesso, migrazioni climatiche e guerre “a pezzi” spingono milioni di persone verso confini sempre più chiusi. È un’economia capace di produrre ricchezza straordinaria e disuguaglianze abissali – la versione odierna di quelle “cose nuove” che sconvolsero Leo XIII.

Prevost-Leo sembra intenzionato a leggere la crisi del lavoro digitale con la stessa lucidità con cui il suo omonimo affrontò quella del lavoro manifatturiero. Non è un caso che, poche ore dopo l’elezione, abbia richiamato l’attenzione sulla dignità “di chi consegna pasti, guida auto a noleggio, crea codici invisibili che muovono il mondo reale”. L’eco di Rerum Novarum è evidente: senza un “salario giusto” – diremmo oggi un compenso algoritmico equo – non c’è reale libertà, perché la libertà presuppone un margine di scelta, e la scelta nasce solo da un reddito dignitoso. (New York Post)

Dal 1891 al 2025: continuità e “cose nuove” di oggi

1891 (Rerum Novarum) 2025 (agenda possibile di Leo XIV)
Orari massacranti in fabbrica Precarietà dell’economia “gig” e algoritmica
Salario di sussistenza Dibattito su salario minimo globale e redditi-di-base
Conflitto capitale/lavoro Polarizzazione ricchezza-povertà post-pandemia
Emigrazione rurale-urbana Migrazioni climatiche e crisi dei rifugiati
Monopolio statale sulle associazioni operaie Potere delle piattaforme digitali transnazionali

Il nuovo papa—americano di nascita ma latinoamericano d’adozione—potrebbe rileggere Rerum Novarum alla luce di:

  • Gig-economy e intelligenza artificiale: diritti di chi lavora on-demand, proprietà dei dati.

  • Cambiamento climatico: nesso tra degrado ambientale e povertà, già al centro di Laudato Si’.

  • Ingiustizia fiscale globale: concorrenza sui salari e i paradisi fiscali.

  • Governance digitale: ruolo etico della Chiesa in reti sociali spesso ostili al dialogo.

Il potere simbolico di un’elezione

In Vaticano il potere si misura anche per metonimie: un nome, un anello, un sigillo. Scegliendo Leo, Prevost ha costruito un ponte fra tradizione e futuro. Il leone richiama la forza araldica di san Marco – un’antenna simbolica verso l’Oriente – e quella del leone di Giuda – che accomuna ebrei, cristiani e rastafariani nel segno della speranza messianica. Ma richiama pure un’immagine antichissima di Cristo come leo victor, vincitore sugli inferi. Nella comunicazione globale, un’icona potente quanto un logo.

Dal punto di vista geopolitico, un papa americano rafforza l’idea di una cattolicità decentrata; un papa missionario latino-americano evidenzia la gravità della “questione amazzonica”; un papa che sceglie Leo XIV fa intuire che la prossima frontiera diplomatica sarà la tutela dei più deboli in un’economia digitalizzata e interdipendente. Lo dimostra il primo telegramma di felicitazioni arrivato dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, che ha letto in quel nome la possibilità di un dialogo rinnovato fra Occidente e Oriente cristiano. (The Washington Post)

Che cosa possiamo aspettarci

È plausibile che nel 2026, 135° anniversario della Rerum Novarum, Leo XIV pubblichi un’esortazione o un’enciclica in continuità con quel testo. Non sarà, semplicemente, “sulla condizione operaia”, ma su lavoro digitale, governance dei dati, giustizia fiscale e crisi climatica: le quattro vene che alimentano la disuguaglianza globale. L’intenzione, raccontano alcuni suoi collaboratori, sarebbe di proporre una “rete di sussidiarietà” che impegni Stati, piattaforme e organismi sovranazionali a riconoscere un salario minimo digitale, limitare i paradisi fiscali e promuovere una transizione ecologica che non scarichi i costi sui Paesi più poveri.

In controluce, la scelta di Leo XIV ricorda a credenti e non credenti che la Chiesa rimane un attore di soft power capace di orientare agende internazionali. Lo fece Leone XIII, che ispirò la nascita di leghe cattoliche e sindacati cristiani; potrebbe rifarlo Leo XIV, spingendo i giganti dell’hi-tech a confrontarsi con un’autorità morale che parla a 1,3 miliardi di fedeli ma anche a un pubblico laico, ormai abituato a vedere il pontefice come una delle poche voci davvero globali.

Una promessa e un monito

“Leone” non è soltanto il simbolo della forza: è anche l’animale che dorme con un occhio aperto, vigile su ciò che cambia. Nel motto non scritto di questo pontificato – l’eco di Rerum Novarum – c’è la convinzione che l’economia, se vuole davvero essere al servizio dell’uomo, debba fare i conti con l’etica, con la dignità e con la salvaguardia della casa comune. Per questo motivo Leo XIV dovrà ruggire, sì, ma anche ascoltare: i lavoratori delle piattaforme, i migranti in cerca di futuro, le comunità che pagano il prezzo delle guerre dimenticate.

A oltre un secolo dal primo Leone “sociale”, il nuovo papa sembra voler dire che le “cose nuove” non smettono mai di presentarsi. Cambia la loro forma – macchine a vapore allora, algoritmi oggi – ma non cambia la domanda di giustizia che sollevarono. E se è vero che ogni nome pontificio è un programma, allora “Leo XIV” promette un papato in cui il ruggito del leone sarà, ancora una volta, un invito ad affrontare il mondo che viene con coraggio, lucidità critica e, soprattutto, con la memoria di chi sa che nel Vangelo la dignità dell’ultimo vale quanto quella del primo.

Per approfondimenti:

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Giornalista, web designer e pubblicitario. Da blog di protesta negli anni in cui i blog andavano di moda, questo spazio è diventato col tempo uno spazio di riflessione e condivisione. Per continuare a porsi le giuste domande ed informare se stessi.